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PORTI…NELLA BURRASCA

Dopo il gigantismo navale è la volta di quello commerciale. Se navi sempre più grandi hanno cominciato ad affollare i mari del globo, mettendo sotto stress la tenuta infrastrutturale di molti porti europei – evidentemente non in grado di ricevere e lavorare colossi che in alcuni casi hanno superato la capacità di 24.000 TEU -, oggi i terminalisti sono alle prese con un nuovo inedito problema di efficienza operativa, rappresentato dal progressivo aumento dei volumi di merce portati in dote da ogni nave per ogni singola toccata nel porto prescelto.

I problemi di congestione, di cui hanno sofferto molti scali portuali nel corso del periodo pandemico, e la volatilità della domanda di mercato hanno infatti spinto i carrier a rivedere le proprie schedule e a ridurre il numero di scali effettuati in ciascun porto all’interno di ogni singola rotazione.

Per mantenere i volumi di mercato, ogni singola portacontainer ha quindi dovuto trasportare una quantità di merce maggiore in ogni singolo toccata nave, costringendo i terminal operator a lavorare di più per evadere tutte le operazioni di carico e scarico.

Questo sovraccarico di lavoro ha finito con il deteriorare la produttività di molti terminal container dell’Europa nord-occidentale, come certifica Drewry nel suo ultimo report.

Nel Ports & Terminals Insight si evidenzia come la durata media delle chiamate nei principali porti del Northern Range sia aumentata di oltre il 50% nel primo trimestre del 2022 rispetto allo stesso periodo del 2019, per poi attestarsi, a Maggio, attorno al 37%

Presentato da Romano Pisciotti:

Nuove grane per i terminalisti europei

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